“Non rimpiangere, ricorda”. Con queste parole si conclude l’isolamento utopico in cui sono state confinate le due protagoniste. La consapevolezza che presto si dovranno separare non le abbandona. Non basta una notte o mille per dimenticare, ma solo un secondo di reminiscenze per riportare a galla un sentimento profondo che lascia senza parole, e induce al segreto tra due donne, due anime legate per sempre da un vincolo che si stringe intorno a loro contro l’immensa distanza che le dividerà.

Heloïse chiama Marianne, le ordina di girarsi. Così come Euridice ed Orfeo si abbandonano sulla soglia della loro libertà, si guardano e si dicono addio, conservando nella memoria l’immagine radicata nel cuore del loro amore.

Non servono troppe parole per riempire gli spazi della scena cinematografica, un’inquadratura sul mare mosso dalle onde, i colori vivaci della natura e delle scogliere taglienti. È nel silenzio che fioriscono idee e pensieri. Il silenzio abbatte la parete che divide lo spettatore dalla scena, si insinua nell’intercapedine che separa finzione e autenticità, rendendoci i discreti testimoni di una realtà spesso soffocata. Stavolta però il silenzio non è sopraffazione, non si configura nelle maglie del controllo patriarcale, è un’arma che restituisce respiro, spazio e libertà.

UN DIPINTO, UNO SPECCHIO

L’intero film è come una tela dove Marianne ed Heloïse ritraggono la loro storia, l’una con gli occhi dell’altra. Come se si fondessero in una sostanza unica, dalla celebre scena della pittrice che guarda il soggetto del dipinto e quest’ultima, in carne ed ossa, che guarda la pittrice, nasce il “se tu guardi me, io chi sto guardando?”  Tutto diventa uno, e dalla molteplicità di sguardi sorge una sola prospettiva, quella della memoria.

In una realtà dove la donna è subordinata all’autorità maschile, soggetta alle decisioni altrui, confinata in se stessa, senza via di redenzione né di fuga, le due protagoniste si ritagliano uno spazio al di fuori dell’attualità. Rompendo la tela spazio temporale che le tiene ancorate al mondo, evadendo dalle catene sociali alle quali sono irrimediabilmente legate. Abitando un luogo che solo loro conoscono, dove scoprirsi e cercarsi.

Durante la seconda metà del film Heloise concede a Marianne di ritrarla, ma non è forse questa l’arresa nei confronti del futuro? La modella si arrende allo sguardo della pittrice, le permette di entrare nel suo mondo, ma consente a un’atroce duplicità di interporsi tra sé e il soggetto ritratto: se il dipinto è portato a termine, il matrimonio diventa una realtà sempre più tangibile, sempre più vicina.

“Non è per me che avete distrutto il quadro precedente, l’avete fatto per voi”

“Vorrei distruggere anche questo”

“Perché?”

“Perché a causa sua, vi devo dare a un altro”

Durante un’accesa discussione le protagoniste si trovano a fare i conti con l’epilogo della loro storia d’amore. Il quadro è concluso, la modella è stata catturata sotto una nuova luce, lo sguardo immortalato su tela non è altro che la visione più consapevole di Marianne. La pittrice d’altro canto si chiede se non avesse dovuto distruggere quest’opera come la precedente, in fondo la pennellata conclusiva non è che un altro promemoria di quello che avverrà dopo. Un ultimo grido disperato prima di perdere tutto. Ma si tratta davvero di perdere?

Forse Marianne ha solo paura di lasciare andare, e in un brusco movimento al fine di riottenere il controllo, esercita inconsapevolmente quello che l’uomo ha adottato per secoli come forma di conquista e sopraffazione del femminile. Guidata dall’immenso trasporto che sente per Heloïse, si dimentica che la forma più coraggiosa di amare è sbrigliare le redini che ci tengono legati, e che legano chi amiamo.

L’ABORTO NON ANNULLA LA VITA

Céline Sciamma ci sorprende ancora una volta dando alla luce una delle scene più significative e poetiche del film: l’aborto della domestica avviene in una piccola stanza, due bambini si aggrovigliano intorno al suo corpo durante l’operazione. In un attimo siamo travolti da un profondo senso di scelta e libertà personale, collocandoci ancora in un luogo estraneo alla realtà. Non a caso la scelta di ambientare l’intero film su un’isola, con un cast di sole donne, dove la figura maschile non è altro che un labile accenno nella telecamera e un richiamo al futuro a cui Heloïse è tragicamente destinata.

Giovanni Segantini, Le cattive madri

Tra le protagoniste si instaura un rapporto di sorellanza indelebile, non c’è divisione sociale, non si giudicano le decisioni altrui ed ognuno vive nella propria e personalissima isola interiore, un posto adatto ad accogliere il cambiamento delle stesse, le loro metamorfosi nel corso della storia.

L’ESTATE DI VIVALDI

Il ritratto della giovane in fiamme è un lungometraggio dalla poetica intrinseca nello sguardo della regista, nell’occhio che scruta tutto e tutti, senza tralasciare un singolo movimento, cavalcando con leggiadria il moto incessante dei suoi caratteri erranti.

Marianne inspira ed espira prima di entrare un’ultima volta nella stanza della ragazza vestita da sposa, pronta a raggiungere l’orizzonte degli eventi, poi un abbraccio fugace, cercando di imprimere nella mente l’odore della sua pelle, il calore del suo corpo contro il suo. In secondo piano la presenza della madre simboleggia una società settecentesca ancorata a valori conservatori e misogini, gli stessi che non permettono alle due giovani di agire sul proprio destino, di firmare con il proprio nome il quadro della loro vita.

“Giratevi” pronuncia Heloise in abito nuziale, esattamente come un tempo la vedeva Marianne nei corridoi della dimora. Un ultimo riflesso di quello che è stato e non potrà più essere e al contempo sarà sempre.

La musica intelligentemente studiata risalta nei momenti di fragile equilibrio, e a conclusione dell’intera opera cinematografica. Marianne la rivedrà un’ultima volta, immersa nell’ascolto dell’orchestra sottostante, la stessa musica che anni prima aveva acceso un lume in lei, una luce ancora viva che vibra come le corde degli strumenti che compongono la melodia del ricordo. La vede e rimane immobile, osserva da lontano il risveglio di una memoria cristallizzata nel tempo, consapevole che allo sciogliersi dei ghiacciai, le acque riportano tutto indietro.

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